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Quest’anno la forte volatilità di quasi tutti i mercati e uno squilibrio temporaneo tra domanda e offerta hanno fatto crollare il prezzo del petrolio. In un’ottica di crescita mondiale persistente nel lungo termine, soprattutto dei mercati emergenti e di frontiera, non crediamo che questo crollo sia destinato a durare a lungo. A nostro giudizio, l’aumento della crescita globale comporterà anche un aumento generale della domanda nel lungo termine di materie prime, che riguarderà non soltanto il petrolio ma anche alcuni minerali quali ferro, rame, nichel e prodotti agricoli. Riteniamo che la rapidità del recente calo dei prezzi petroliferi sia ampiamente frutto di speculazioni e negoziazioni di breve termine, e ci aspettiamo un rimbalzo nel 2015 o 2016.
Negli ultimi due mesi, il greggio ha registrato il più sostanzioso calo dei prezzi dalla crisi finanziaria globale del 2007 – 2009 imputabile a svariate ragioni, tra le quali il rallentamento della crescita della domanda da parte delle economie primarie e l’incremento della produzione statunitense negli ultimi anni, che non sono stati compensati da un taglio della produzione di altri principali produttori di petrolio.
Un eccesso di offerta, qualora dovesse continuare, influirà certamente sui prezzi: è un principio basilare dell’economia. Tuttavia, se esaminiamo l’andamento della domanda nel lungo termine, vediamo che la tendenza generale è al rialzo, non al ribasso, e possiamo notare come il propulsore di questa crescita siano le economie dei mercati emergenti.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) è un forum che facilita la cooperazione tra i governi delle 34 democrazie che ne fanno parte promuovendo crescita economica, prosperità e sviluppo sostenibile tra le economie di mercato. La maggior parte dei paesi classificati come mercati emergenti e di frontiera non sono membri dell’OCSE, ad esempio Cina e India. Il grafico seguente illustra come i paesi non-OCSE abbiano già superato quelli OCSE in termini di consumo di greggio e si prevede che il divario sia destinato ad aumentare in futuro.
Cina: in crescita o in rallentamento?
Il rallentamento della crescita in Cina è stato citato come una delle ragioni che hanno causato il calo dei prezzi del petrolio, ma il nostro punto di vista è leggermente diverso. Certo, la crescita del prodotto interno lordo (PIL) cinese non è più a due cifre come in passato e ciò è prevedibile dato che l’economia cinese è in espansione, ma ora parte da una base più elevata. Non credo che la crescita in Cina sia un problema. Nel 2010, quando la crescita cinese era intorno al 10%, il contributo all’economia è stato di 844 miliardi di dollari (USD). Nel 2013, la crescita è scesa poco al di sotto dell’8%, ma il contributo all’economia è stato superiore a 900 miliardi di dollari (USD). Di conseguenza, l’aumento del PIL è stato indubbiamente minore in percentuale, ma dobbiamo guardare all’impatto economico complessivo, ossia alle cifre in dollari.
Inoltre, molti non pensano al fatto che la Cina ha bisogno di maggiori infrastrutture e avendo viaggiato in questo paese su treni affollati fino all’inverosimile e strade con un traffico intenso, penso proprio che ne abbia un grande bisogno! L’urbanizzazione è ancora in corso; c’è ancora molto da fare, e ci vorranno molte risorse naturali per farlo.
Impatto del calo del petrolio sulle economie emergenti
La maggior parte dei consumatori ha naturalmente accolto con entusiasmo il calo dei prezzi energetici che però, se si pensa agli impatti economici complessivi, può essere un’arma a doppio taglio. Nei paesi che dipendono in misura elevata dalle esportazioni di petrolio, un calo prolungato dei prezzi potrebbe essere dannoso.
Per esempio, una percentuale elevata del bilancio del governo nigeriano dipende dal petrolio; il settore di petrolio e gas rappresenta circa il 35% del PIL e le esportazioni di petrolio forniscono oltre il 90% dei ricavi totali delle esportazioni[1]. Una diminuzione di questi ricavi significherà che i leader nigeriani saranno destinati a soffrire per le ricadute del calo dei prezzi petroliferi o dovranno fare qualcosa per rivitalizzare l’economia promuovendo una diversificazione e riforme. Per quanto riguarda i maggiori esportatori mondiali, nel 2009 il PIL russo aveva subito una flessione dell’8%, quando il prezzo del petrolio era sceso sotto 40 USD al barile a fronte della crisi finanziaria globale. La Russia continua ancora oggi a dipendere in misura elevata dai ricavi energetici e il paese sembra destinato a subire un grosso impatto se i prezzi non metteranno a segno un rimbalzo abbastanza rapidamente. Unitamente alle sanzioni legate alla questione ucraina, ciò ha fatto prevedere ai responsabili del governo russo una possibile recessione nel 2015. A nostro giudizio, la forte dipendenza dai ricavi petroliferi fa apparire particolarmente vulnerabile anche il Venezuela. L’Arabia Saudita sembra in grado di resistere meglio a un calo dei prezzi, grazie alle enormi riserve in valuta estera e investimenti che riteniamo possano consentirle di continuare a spendere e crescere anche se i prezzi del petrolio sono bassi. Sul versante opposto, il calo dei prezzi petroliferi dovrebbe invece essere benefico per Cina e India, due importatori netti.
Parte della maggiore offerta di petrolio è derivata dall’aumento della produzione di petrolio di scisto negli Stati Uniti. A livelli inferiori a 60 USD al barile, l’estrazione diventa meno redditizia per i produttori. Diventando poco redditizia, parte della produzione dovrà probabilmente essere sospesa, anche se ci vorranno alcuni mesi prima che i giacimenti siano abbandonati. Al contempo, la domanda di petrolio nei due paesi più popolosi del mondo (Cina e India) è in aumento a causa del maggior numero di vetture, autobus e camion in circolazione. Inoltre, la plastica e molti altri prodotti di largo utilizzo sono derivati del petrolio. Il costo della ricerca e produzione del petrolio in generale non è diminuito e pertanto riteniamo che nel lungo termine i prezzi del petrolio si riprenderanno.
A nostro parere, i prezzi più bassi del petrolio presentano un altro aspetto potenzialmente positivo per alcune economie emergenti che avevano erogato sussidi per l’energia. Questi sussidi rappresentavano un onere per i bilanci governativi e grazie alla flessione dei prezzi di mercato più bassi la loro eliminazione sarà meno dolorosa per i consumatori residenti in tali paesi. L’Indonesia ha già fatto un taglio parziale dei sussidi e vediamo alcuni segnali indicanti che anche India e Cina si stanno muovendo in questa direzione. Il contesto di prezzi energetici più bassi ha aiutato alcuni paesi emergenti a intraprendere le tanto necessarie riforme con effetti meno dolorosi.
Al momento, pensiamo che la preoccupazione maggiore dal punto di vista degli investimenti potrebbe essere la volatilità, non soltanto per i prezzi del petrolio, ma anche per i titoli correlati del settore, oltre che per i mercati azionari in generale. Abbiamo osservato alcune oscillazioni incredibili. Cerchiamo di sfruttare i cali per individuare possibili buone occasioni per i nostri portafogli, ma molti investitori si spaventano e se le lasciano sfuggire. Intendiamo naturalmente prestare attenzione a paesi, settori e società che riteniamo in grado di beneficiare del calo dei prezzi del petrolio. Tuttavia, per ora non evitiamo completamente le società petrolifere. Essendo diversificate, molte aziende potrebbero soffrire in termini di attività di esplorazione e produzione, ma essere anche potenzialmente in grado di trarre profitti dalle vendite al dettaglio.
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